La musica è parte integrante della mia vita e ad essa ho dedicato con amore ed entusiasmo gran parte della mie giornate nella convinzione che l'uso corretto di uno strumento musicale derivi certamente da una particolare predisposizione iniziale ma sia anche l'esito di uno studio metodico fatto non solo di esecuzione ma anche e principalmente di ascolto.

La ricerca delle sonorità e la capacità di estrarre dallo strumento il massimo delle proprie qualità è una meta difficilmente raggiungibile ma con la quale si deve necessariamente misurarsi attraverso l'uso di tecniche esecutive che possono portare anche ad esiti  molto lontani dalle musicalità alle quali siamo tradizionalmente abituati.

L'elettronica prima, la modellazione del suono e successivamente la simulazione sonora digitale mi hanno offerto la possibilità di ottenere risultati impensabili quando da bambino mi esercitavo su una piccola chitarra stando seduto sulle scale di casa. 

Venezia 1982

Roberto Pugiotto suona un Robin duble bass del 1890

I riferimenti

Il passaggio dalla chitarra (suonata per quindici anni) al basso è legato, come per molti altri strumentisti, ad un evento casuale. Da una parte la non ammissione al conservatorio al corso di chitarra. All'epoca avevo tredici anni ed ero già impostato come strumentista, ma purtroppo fuori dai canoni richiesti dalla scuola. La proposta alternativa è stata quella di partecipare, come auditore, al corso di contrabbasso. Sono resistito un anno ma la lezione mi è certamente servita. Dall'altra parte il fatto non marginale che nel nuovo gruppo appena messo in piedi nella metà degli anni settanta, c'era un chitarrista di troppo ed il titolare era sicuramente più veloce del sottoscritto. Nessun problema! Appena racimolati i soldi, al posto dell'agognata Les Paul, ho acquistato l'amato Jazz Bass che vedete qui sotto.

E' stata una vera folgorazione, anche perchè all'epoca cominciava a farsi sentire in giro uno straordinario personaggio che proprio con un Jazz otteneva un suono come il contrabbasso e sulle quattro corde riusciva a correre e ad armonizzare come suonasse una chitarra. Se si aggiunge che lo steso personaggio adorava quel Jimi Endrix che avevo visto pochi anni prima, si può dire che il gioco era fatto. Unico impedimento i tasti sul manico del Jazz Bass che poco dopo un liutaio di Venezia ha provveduto a togliere. Da allora il nomignolo, non meritato, di Jaco non me lo ha tolto più nessuno. 

E' a Jaco Pastorius, ascoltato e visto in tutte le possibili occasioni, fino al memorabile concerto del Teatro S. Marco di Mestre del 1987, pochi mesi prima della scomparsa, a cui devo tutto il mio lavoro fatto su questo straordinario strumento.

A lui, negli anni, ho affiancato anche il nome di un altro genio dello strumento, al quale va sicuramente assegnato il merito di aver esaltato il ruolo percussivo del basso elettrico, oltre che la stessa abilità di arrangiatore di Jaco. Marcus Miller non a caso condivide con il precedente non solo una strana assonanza nel nome, ma anche l'uso dello stesso strumento elettrico; ancora una volta il Jazz Bass nella versione in acero degli anni settanta.

A loro devo tutto il mio lavoro di musicista e a loro dedico questa parte del sito.

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